Gioconda – Monna Lisa – Leonardo da Vinci – Museo Louvre di Parigi.

22 Aprile 2018 ArtinMUSE, Lifestyle & Fashion, LVM Jewels Design

La Gioconda, nota anche come Monna Lisa, è un dipinto a olio su tavola di legno di pioppo realizzato da Leonardo da Vinci, (77×53 cm e 13 mm di spessore), databile al 1503-1504 circa e conservato nel Museo del Louvre di Parigi.

Opera iconica ed enigmatica della pittura mondiale, si tratta sicuramente del ritratto più celebre della storia nonché di una delle opere d’arte più note in assoluto. Il sorriso impercettibile del soggetto, col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, letteratura, opere di immaginazione e persino studi psicoanalitici; sfuggente, ironica e sensuale, la Monna Lisa è stata di volta in volta amata e idolatrata, ma anche derisa o aggredita.

La Gioconda rappresenta una meta obbligata per migliaia di persone al giorno, tanto che nella grande sala del Museo del Louvre in cui è esposta un cordone deve tenere a debita distanza i visitatori; nella lunga storia del dipinto non sono infatti mancati i tentativi di vandalismo, nonché un furto rocambolesco che in un certo senso ne ha alimentato la popolarità.

Il furto
 
Spazio vuoto sulla parete del Louvre in seguito al furto del 1911
Nella notte tra domenica 20 e lunedì 21 agosto 1911, prima di un giorno di chiusura del museo, la Gioconda venne rubata. Della sottrazione si accorse lunedì stesso un copista, Louis Béroud, che aveva avuto il permesso per riprodurre l’opera a porte chiuse.[16] La notizia del furto fu ufficializzata solo il giorno dopo, anche perché all’epoca non era infrequente che le opere venissero temporaneamente rimosse per essere fotografate.


Monna Lisa in Italia a Firenze nel 1913 dopo essere stata recuperata
Era la prima volta che un dipinto veniva rubato da un museo, per di più dell’importanza del Louvre, e a lungo la polizia brancolò nel buio. Fu sospettato il poeta francese Guillaume Apollinaire che venne arrestato dopo aver dichiarato di voler distruggere i capolavori di tutti i musei per far posto all’arte nuova e condotto in prigione il 7 settembre 1911; il suo arresto si basava su una calunnia, causata da una ripicca, da parte dell’amante Honoré Géri Pieret, che era stato accusato di aver ricettato alcune statuette antiche rubate dal museo. Anche Pablo Picasso venne interrogato in merito, ma, come Apollinaire, fu in seguito rilasciato. Sospetti caddero anche sull’Impero tedesco, nemico della Francia, ipotizzando un furto di Stato. Mentre crescevano sospetti e polemiche poiché si scoprì che le uniche misure di sicurezza adottate dal museo consistevano nell’aver addestrato al judo un gruppo di guardie, si iniziò a ritenere il capolavoro perso per sempre. Franz Kafka vide una cornice vuota, e dopo un po’ il posto lasciato dalla Gioconda sulla parete fu preso dal Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello.

In realtà, un ex-impiegato del Louvre, Vincenzo Peruggia, originario di Dumenza, paesino nei pressi di Luino, convinto che il dipinto appartenesse all’Italia poiché sottratto da Napoleone, lo aveva rubato, rinchiudendosi nottetempo in uno sgabuzzino e, trascorsavi la notte, staccando il dipinto di prima mattina e uscendo dal museo con il ritratto sotto il cappotto; egli stesso ne aveva montato la teca in vetro, quindi sapeva come smontarla per sottrarlo. Uscì in tutta calma; chiese anche a un idraulico un aiuto per uscire dal museo, essendo sparita la maniglia del portone d’ingresso, e all’uscita sbagliò tram, optando poi per un più comodo taxi. Messa l’opera in una valigia, posta sotto il letto di una pensione di Parigi, la custodì per ventotto mesi e successivamente la portò nel suo paese d’origine, a Luino, con l’intenzione di “regalarlo all’Italia”, dopo aver ottenuto da qualcuno la garanzia che il dipinto sarebbe rimasto nel suo paese; come accennato, riteneva infatti erroneamente che l’opera fosse stata rubata durante le spoliazioni napoleoniche.

Ingenuamente, nel 1913 si recò a Firenze per rivendere l’opera. Si rivolse all’antiquario fiorentino Alfredo Geri, che ricevette una lettera firmata “Leonardo” in cui era scritto che «Il quadro è nelle mie mani, appartiene all’Italia perché Leonardo è italiano» con una proposta di restituzione a fronte di un riscatto di 500 000 lire «per le spese». Incuriosito, l’11 dicembre 1913, l’antiquario fissò un appuntamento nella stanza 20 al terzo piano dell’Hotel Tripoli, in via de’ Cerretani (albergo che poi cambiò il nome proprio in Hotel Gioconda), accompagnato dall’allora direttore degli Uffizi Giovanni Poggi. I due si accorsero che l’opera non era uno dei tanti falsi in circolazione, ma l’originale e se la fecero consegnare per “verificarne l’autenticità”. Nell’attesa il Peruggia se ne andò a spasso per la città, ma venne rintracciato e arrestato. Il ladro, processato, venne definito “mentalmente minorato” e condannato a una pena di un anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a sette mesi e quindici giorni. La sua difesa si basò tutta sul patriottismo e suscitò qualche simpatia (si parlò di “peruggismo”). Egli stesso dichiarò di aver passato due anni “romantici” con la Gioconda appesa sul suo tavolo di cucina.

Approfittando del clima amichevole che allora regnava nei rapporti tra Italia e Francia, il dipinto recuperato venne esposto in tutta Italia; prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di palazzo Farnese a Roma, alla Galleria Borghese (in occasione del Natale), e infine alla Pinacoteca di Brera a Milano, prima del suo definitivo rientro al Louvre. La Monna Lisa passò il confine a Modane, in Francia, su un vagone speciale delle ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità francesi, per poi giungere a Parigi dove, nel Salon Carré, l’attendevano il presidente della Repubblica Raymond Poincaré e tutto il governo.

Sicuramente il furto contribuì alla nascita e alimentazione del mito della Gioconda; dalla cultura più alta, per pochi eletti, la sua immagine entrò decisamente nell’immaginario collettivo.

 

 

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